"Scuola di musica riconosciuta per l'anno scolastico 2019/2020
con determinazione n. 7308 del 29.04.2019 del Responsabile del
Servizio Sviluppo degli Strumenti Finanziari, Regolazione e
Accreditamenti della Regione Emilia-Romagna, di cui alla
DGR n. 2254/2009 e successive modificazioni."
Premessa «Possiamo
dire che il jazz è un virus, un virus di libertà, che si è diffuso
sulla terra, “infettando” tutto ciò che ha trovato sulla
sua strada: il
cinema, la poesia, la pittura, la vita stessa». Così il grande
Steve Lacy, in un’intervista raccolta molti anni fa dal
giornalista Filippo Bianchi.
La critica accademica ha spesso incontrato qualche difficoltà, perfino
concettuale, nel collocare il jazz all’interno della storia
musicale
del Novecento. Forse è un errore di impostazione; più facile collocarlo
nella storia del pensiero del Novecento, tante e tali sono state
– e
continuano a essere – le sue impollinazioni incrociate e
influenze
reciproche con l’universo circostante, in un’impressionante
varietà di
orientamenti: il cinema, dai cartoons
degli anni Venti fino a Woody Allen; la danza, dal fox trot fino a
Carolyn Carlson; la pittura, da Mondrian a Basquiat; la letteratura, da
Fitzgerald a Cortazar; la musica accademica, da Stravinskij a
Penderecki... Altrettanta varietà si può rintracciare nel suo
destinatario sociale, dal pubblico degli scantinati e quello dei teatri
d’opera.
Si dice, giustamente, che il jazz sia stato la prima forma d’arte
nata
in America. Ma non si può dire che il jazz “appartenga”
agli americani,
come il fado ai portoghesi o la tarantella ai napoletani. È stata
infatti la prima forma d’arte statutariamente
“cosmopolita”, in cui le
varie componenti di immigrati nel Nuovo Mondo traducono in una lingua
comune gli influssi di provenienza, ed il primo “luogo di
comunicazione” nel quale le varie etnie altrimenti impegnate
soprattutto a scannarsi fra loro (polacchi contro italiani, neri contro
cinesi, irlandesi contro ispanici, tutti contro tutti) si trovano
piuttosto a suonare e creare insieme, che è decisamente preferibile.
Multirazziale e multiculturale dalla genesi, il jazz dimostra nella
pratica la natura universale della musica. È anche per
quest’indole
permeabile che, già nei primi decenni di vita, il jazz si è diffuso ad
ogni latitudine, pure nelle circostanze più difficili:
dall’Unione
Sovietica in cui era considerato “arte degenerata” fino al
District Six
di Città del Capo in cui fu unico antidoto all’apartheid.
Le ragioni per cui l’Unesco ha dichiarato il jazz
“patrimonio
dell’umanità”, dedicandogli una giornata celebrativa
annuale, non sono
solo di ordine musicale, ma culturale, sociale, politico, psicologico
perfino.
In un quadro formativo per le giovani generazioni, riveste particolare
importanza la focalizzazione sull’improvvisazione: la più
efficace
metafora della vita, che è notoriamente improvvisata, non scritta. Ma
il jazz è pure metafora dell’intelligenza, che è, fino a prova
contraria, corteccia associativa, capacità di tessere relazioni fra le
cose: è lavoro intellettuale in azione. Si sa che viviamo
nell’epoca
dell’informazione, meglio nell’ipertelìa
dell’informazione: ci sono
tante di quelle informazioni che finiscono per nascondersi una sotto
l’altra; prese singolarmente sono trasparenti, ma la
sovrapposizione
dei loro strati crea un effetto di opacità (il rumore di fondo –
com’è
noto – impedisce di distinguere i singoli suoni). Mai nella
storia
dell’umanità c’è stato un tempo con una tale facilità
nell’approvvigionamento di informazioni. E tuttavia la ricerca
PISA
(Programme for International Student Assessment) ammonisce che
nell’ultimo decennio è esponenzialmente diminuita la facoltà di
mettere
le informazioni in relazione fra loro. Giusto quella facoltà che
l’improvvisazione sviluppa, laddove non è tanto importante la
quantità
di informazioni di cui disponiamo ma l’uso che siamo in grado di
farne.
Come disse Benny Green a proposito di Armstrong: «Anyone can learn what Louis knows about
music in a few weeks. Nobody could learn to play like him in a thousand
years» (Chiunque
può imparare in poche settimane quel che Louis sa sulla musica. Nessuno
potrebbe imparare a suonare come lui in mille anni). Se ne può
concludere che l’abilità di improvvisare è una possibile porta
del
futuro, per chi solo può vederla. Scarica la Premessa in
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